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L'importante non è partecipare (al Mondiale)

Coltiviamo, impariamo a farlo, una maggiore cultura dello svago, del gioco, della complicità...

Mi è capitata sotto mano per caso. Si tratta della riflessione del Presidente di una nostra società sportiva, il San Giovanni Bosco Vignate.
Ho pensato di trasformarlo nell'articolo di fondo di questa settimana. Perché dare voce alle società sportive è un modo per vedere negli occhi il bello dello sport.
(Massimo Achini)



Venerdì 10 novembre la Svezia, a modo suo, batte un’evanescente Italia con uno striminzito 1-0. E’ solo l’andata, dice il saggio, quindi c’è tutto il tempo per recuperare nella partita di ritorno e rimettere le cose a posto nella filosofia calcistica italiana che, ovviamente, non può nemmeno pensare di non andare ai Mondiali.

Che la squadra italiana, come spero, possa qualificarsi oppure no, è chiaro che il problema del movimento calcistico italiano non è custodito da una vittoria o una partecipazione al mondiale.

Da presidente di un’associazione polisportiva dilettantistica, che ovviamente annovera tra le sue attività il calcio, non è difficile fare un quadro della situazione parziale ma che può essere applicato alla generale situazione italiana. Terzo anno di presidenza ma tredicesimo da dirigente, vicepresidente e altri ruoli in associazione, quindi anche in periodi come il mondiale vinto del 2006, in cui i risultati hanno coperto tutti i difetti di un movimento che, se non è allo sbando, poco ci manca.

Molti degli attori coinvolti nell’attività sportiva calcistica italiana non rispettano i loro ruoli.

  • Ho visto presidenti di piccole associazioni che strutturano erroneamente il loro regno come fosse una società da Champions.
  • Ho visto allenatori di squadre “Big Small”, “Primi calci”, “Piccoli amici” e, quindi, delle fasce più piccole che affrontano la partita come se fosse una finale, ogni volta, una loro finale però.
  • Ho visto genitori dei bambini che si insultano tra loro sui momenti di gioco controversi. Che urlano ai loro figli cosa fare e come stare in campo come allenatori, aggiunti e non richiesti (gridare a un bambino di 5 anni “allargati sulla fascia destra” quando forse è già qualcosa se il bambino riesce a distinguere tra destra e sinistra è quantomeno surreale). Che pretendono che i loro figli giochino sempre perchè “han pagato”. Che sono in continua polemica con presidenza, dirigenza e quant’altro appena i risultati non arrivano. Che non hanno capito che i risultati a 5-6-7 anni non sono nemmeno registrati per la classifica e, quindi, i risultati da raggiungere sono altri rispetto al conteggio dei goal fatti o subiti.
  • Ho visto federazioni, la FIGC in particolare, talmente burocratiche, indietro con i tempi, ipertrofiche da interessarsi più alla forma rispetto alla sostanza e allo sport. Federazioni che, per la marea di carte da presentare, mi han fatto esclamare “ma questi bambini li vogliamo far giocare a calcio oppure a carte (burocratiche)?”. Federazioni che multano l’associazione per una virgola (sì, proprio una virgola) fuori posto sulla distinta (qui il CSI è stato ed è maestro in questo tipo di richiami) senza invece investire in una maggiore cultura sportiva.
  • Ho visto carte, carte, ancora carte da compilare per assicurare, iscrivere, tesserare ogni singolo giocatore. Carte, carte, e ancora carte che chiedono vita, morte e miracoli dell’Associazione per fare quello per cui l’associazione è nata e che tolgono tantissimo tempo ai volontari coinvolti, sempre meno, a discapito della vera attività sportiva.

La conseguenza di tutte queste cose viste ce l’abbiamo sotto gli occhi. Bambini che rinunciano a giocare già da piccoli proprio perché stressati dall’ipercompetitività che hanno addosso: genitori, allenatori, presidenti, movimento stesso, tifosi, ecc... squadre che son costrette quindi a prendere altrove giocatori per giocare in Serie A. Quindi a chi accusa la troppa presenza di stranieri nelle squadre italiane deve sapere che questa è una conseguenza di quanto “ho visto” sopra, non la causa.

E’ vero che ci sono diverse società e associazioni che, faticosamente, lavorano bene e cercano di creare un vivaio ma tutta la cultura sportiva che ci sta attorno? Quella no, quella è fatta di scontri, da gente che crede di avere il campione tra le mani, da chi si crede il nuovo “Sacchi”, “Conte” della situazione, da chi pensa di fare “risultato” sulla pelle dei propri atleti. Tutti inseguono la propria vittoria personale: genitori, allenatori, presidenti, dirigenti, tifosi, federazioni... c’è un piccolo particolare però da tener conto: NON STANNO GIOCANDO! E, a dirla tutta, in quel clima da scontro e guerra, non stanno giocando nemmeno i calciatori in campo.

Ottime sono le iniziative del CSI, per esempio, volte a creare un clima, attorno alla partita, molto più amichevole con riscaldamento condiviso, “chiama” con i genitori, ecc... ma c’è molto, moltissimo da fare ancora per scardinare dall’ambiente tutti i mali che continua a portarsi dietro. Lo sport DEVE essere festa, DEVE coinvolgere TUTTI i giocatori della squadra, soprattutto se quei giocatori sono piccoli. La competizione NON deve trasformarsi in guerra, in battaglia, in campo di scontro per tutti e per tutto.

Nessuno scende in campo solo per partecipare, tutti hanno l’obiettivo sportivo di far bene e, potendo anche vincere. Coltiviamo, impariamo a farlo, una maggiore cultura dello svago, del gioco, della complicità, della condivisione, della festa, dell’allegria, dell’impegno, del rispetto. Da questo punto di vista siamo indietro, e tanto, rispetto ad altre nazioni. Quindi l’importante non sarà partecipare o meno al mondiale, sarà capire quanto prima tutti questi difetti delle associazioni e società sportive e correggerli per tempo, altrimenti si rimanderà solo la prossima delusione.


Giuseppe Bonsignore
presidente ASD GS San Giovanni Bosco Vignate

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