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Quest'anno l'Oratorio dice "VIA COSI'"


 

L’oratorio che dice VIA COSÌ, è un oratorio che sta con Gesù e lo ascolta. Gesù ha deciso di mettersi per la strada. Abitare la strada. Incontrare per la strada. Gli incontri casuali diventano provvidenziali. L’oratorio ascolta questa voce di Gesù e questo gli impedisce di chiudersi in se stesso. Di pensare solo a sé. Esistono oratori malati di narcisismo e altri di depressione. Il narcisismo è l’attenzione esagerata e compiaciuta a sé. Alle proprie attività. Ai propri numeri. Alla propria forza. Si rischia di confondersi con la realtà. Di pensare di essere la realtà. E si perde così il contatto con la realtà. Depressi sono gli oratori dove, al contrario, tutti i problemi sono amplificati, tutti i mali del mondo sono rivolti contro la loro pochezza e precarietà. Il mondo diventa ostile, i ragazzi introvabili e intrattabili. I problemi insormontabili. L’oratorio narciso e l’oratorio depresso non riescono ad ascoltare la voce di Gesù, che vuole partire e cerca compagni di viaggio. L’oratorio che dice VIA COSÌ è quindi l’oratorio pronto a partire, che sa prendere l’iniziativa. Dove si va? Ogni ragazzo rappresenta per l’oratorio un viaggio imprevedibile. La meta sono i ragazzi. Ogni ragazzo. La strada è l’uomo (cfr. san Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 1979).

 

Oratorio che si vede mandato insieme

L’oratorio che dice VIA COSÌ è l’oratorio che si sente mandato ma non da solo. Vede che in cammino ce ne sono altri. L’oratorio allora si scopre fatto di storia, spazi e azioni. Il cammino con Gesù in realtà è già iniziato. L’oratorio si vede camminare in una storia che abita già da tempo. Sarebbe bellissimo quest’anno – a sostegno delle Comunità educanti e anche come avvio del lavoro verso l’Oratorio 2020 – recuperare la storia di ogni oratorio, così pure gli spazi che l’oratorio vive e abita e anche le azioni che ha svolto nel tempo. 

Oltre a questo, l’oratorio scopre di essere un popolo che cammina. È più opportuno dire popolo piuttosto che gruppo, piuttosto che percorsi. Può sembrare un dettaglio di poco conto. In realtà molti oratori soffrono per la chiusura dei gruppi al loro interno. A volte la situazione diventa così grave che si creano veri conflitti di comunicazione. L’oratorio non solo non comunica con l’esterno. Ma addirittura al proprio interno. Non gruppo. Non percorso. Ma l’idea di essere un popolo che cammina, senza territorio predefinito, senza esigenti condizioni di accesso, in cui tutti hanno diritto di cittadinanza in quanto riconosciuti figli. Riconosciuti figli prima e oltre la loro stessa capacità di riconoscersi tali. Il popolo dell’oratorio vede in ciascuno un figlio di Dio. Qui ha radice la fraternità cristiana: non dalla benevolenza ma da una constatazione genetica, ontologica. Prima che umana, religiosa o culturale. In oratorio vogliamo aiutare i ragazzi a vedere nell’altro un fratello. Questo significa educare alla fede cristiana. Questo, prima di ogni altro elemento. Riconoscere i sacramenti, ricordare i comandamenti, ma non saper riconoscere dignità fraterna a chi mi sta accanto – chiunque esso sia – non è fede cristiana ma formazione religiosa. La vera iniziazione cristiana consiste nella conversione dello sguardo, per scoprire e riconoscere nell’altro un fratello e una sorella.

Questa è l’esperienza dell’oratorio. Che diventa quindi ambito immediato e naturale per tutto ciò che da qui potrà germogliare e fiorire. Questa è anche la vera e straordinaria dimensione culturale dell’oratorio: uno spazio umano, un contesto educativo, che a partire dalla condivisione della condizione umana nei suoi aspetti più elementari, permette di scoprire la nostra comune destinazione di vita, permette di scoprirci come gente che cammina con Gesù, e camminando con Gesù genera e diffonde amicizia.

Ogni educatore dell’oratorio, nel suo approccio con qualunque ragazzo, nella relazione educativa con lui, sente di dover vivere lo stesso sguardo, la stessa parola, la stessa voce, lo stesso cuore, che Gesù stesso avrebbe con quel ragazzo. Senza questa intenzione spirituale profonda e personale, di voler dare continuità in sé stessi alla capacità di relazione umana di Gesù, ogni relazione educativa in oratorio non avrà durata o si tramuterà in altro.

Il punto di forza dell’oratorio sono uomini e donne che decidono nell’intimo del loro cuore di tradurre con la loro originale umanità, quella predilezione di Gesù verso i piccoli, che è la quintessenza del Vangelo, e non una sua secondaria appendice. Il fuoco va tenuto acceso. E il fuoco dell’oratorio è il desiderio incontenibile di accogliere i ragazzi. Perché sappiamo che dall’accogliere loro e dall’essere come loro DIPENDE la nostra salvezza.

La spiritualità dell’oratorio è l’accoglienza dei piccoli, chiunque essi siano e dovunque essi siano. Spiritualità dell’oratorio è cercare i piccoli e trovarli. Spiritualità dell’oratorio è accoglierli e accompagnarli. Per fare ciò è indispensabile imparare la loro lingua. Dobbiamo necessariamente conoscere il cuore dei nostri ragazzi e amarlo. Abbiamo bisogno di educatori innamorati dei ragazzi. Prima di tutto innamorati di loro. Desiderosi di stare con loro, di conoscerli, di capirli. Poi. Poi. Poi… e soltanto poi di istruirli. Dobbiamo amare i ragazzi. Amare quello che loro amano. Parlare con la loro lingua. Raccontare a loro di Gesù con la loro lingua. Non con la nostra. Ma con la loro.

Non a caso il Vangelo prima di essere libro è un racconto. Un racconto vivo dentro una relazione viva e reale tra uomini che prima si devono conoscere, intendere, fidarsi reciprocamente e poi capirsi, parlarsi.

Ecco quindi il vero senso dell’animazione in oratorio. Prima che tecnica è l’arte di raccontare il Vangelo nella lingua di chi mi ascolta. Per questo un oratorio all’avanguardia parla tante lingue. Sono i linguaggi di animazione: musica, teatro, sport, esperienze di condivisione di carità fraterna. L’oratorio si dà come obiettivo il compito di far sì che ogni ragazzo si senta a proprio agio e si senta a casa per quello che è, e che possa intendere il messaggio che gli viene rivolto. E da quello che è, esprimere i propri talenti.

Questo discorso vale ancora di più per i ragazzi che provengono da altre culture, anche religiose. Dobbiamo strenuamente aiutare i nostri ragazzi degli oratori a immaginare e a creare un futuro di pace, in cui la diversità non sia occasione di conflitto ma scoperta di una integrazione reciproca. In oratorio andiamo per costruire un futuro di pace, dove la diffidenza viene superata dalla normalità del bene nei rapporti quotidiani, ispirati all’accoglienza reciproca. Il dialogo non è mai contrario all’identità. Anzi le permette di rinnovarsi.

Lo stesso va detto per tutti i ragazzi che rischiano di essere esclusi dalle normali attività dell’oratorio, perché malati o diversamente abili. L’oratorio non esclude nessuno. Ma in maniera intelligente cerca e crea le condizioni per cui tutti si sentano veramente a casa.

Ecco due punti su cui lavorare: l’Iniziazione cristiana, attingendo con impegno alle proposte formative del servizio diocesano per la catechesi. Non è più sostenibile che ragazzi diversamente abili vengano apriori esclusi o allontanati dalla catechesi e dai Sacramenti.

L’altro ambito è quello sportivo. Il CSI da diversi anni attiva diversi progetti a sostegno dell’attività sportiva dei ragazzi diversamente abili. Invito i responsabili degli oratori a impegnarsi a conoscere questi progetti e nel limite del possibile a spingere le proprie Associazioni Sportive in questa direzione. Qui si vede un concreto valore aggiunto dello sport in oratorio.

Altro punto determinante è la pastorale d’insieme come via ordinaria della pastorale giovanile. Da troppo tempo ci diciamo che questi tempi ci chiedono scelte radicali. Una di queste è senza dubbio l’abbandono di una pastorale magari vincente e rassicurante, ma autoreferenziale e solitaria. L’oratorio che dice VIA COSÌ è l’oratorio che cammina insieme agli altri oratori: nella comunità pastorale, nel decanato, nella diocesi.


Oratorio che si trova per la strada

L’oratorio che dice VIA COSÌ non si chiude nel cortile ma abita la vita. A volte si corre il rischio che l’oratorio diventi un tempo separato dalla vita dei nostri ragazzi. Si frequenta l’oratorio, poi nella vita si fa altro e si va altrove, perdendo anche lo stile oratoriano. Invece, quando l’oratorio funziona ci aiuta a riconoscere la bellezza della vita. Seguire Gesù ci porta a colorare il mondo. Le strade che Gesù percorre oggi sono la strade che conosciamo bene: è la via dove abitiamo; la strada che facciamo per andare a scuola; la via dell’oratorio è dove andiamo a giocare; è la strada dove abitano i nostri migliori amici; la piazza della nostra chiesa parrocchiale; a volte è la strada difficile dei ragazzi malati in ospedale, oppure dei ragazzi che purtroppo hanno sbagliato e stanno cercando di recuperare; a volte è la strada dove tanti ragazzi inciampano e cadono nelle varie forme di dipendenza; non di rado la strada non c’è, perché non esiste cammino e nemmeno voglia di andare: fa soffrire sapere di tanti ragazzi con potenzialità straordinarie che vivono senza amici, chiusi in casa, spesso nella solitudine. Queste sono le strade. Gesù cammina su questa via e ci coinvolge a seguirlo. Anzi, a passare prima di Lui per preparare il suo arrivo.

 

Don Stefano GUIDI 
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi

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