COME STA LO SPORT ITALIANO? BENISSIMO! MA QUANTO CONTA DAVVERO?
28 gennaio 2025
Come stanno le nostre società sportive lo sappiamo bene, e speriamo che tornando a casa dall’assemblea, chi c’era sia tornato a casa con le batterie più cariche. In generale è un buon tempo per le nostre realtà, si cresce in qualità e in quantità tenendo presente il numero di squadre e di tesserati.
Ma lo sport, in generale, come sta? È interessante curiosare nel rapporto 2024 di Sport e Salute e Istituto di Credito Sportivo. Diciamolo subito: lo sport non se la passa male, anzi!
- Lo sport incide sul PIL del paese per 24,7 miliardi di euro, in partica il 12% in più rispetto alle precedenti misurazioni.
- Sono 412 mila gli occupati nel comparto sportivo, e anche se il sistema resta a grande trazione volontaria, il numero dei lavoratori a contratto è salito del 2% rispetto all’anno precedente.
- Nel 2023, il 64,8% della popolazione italiana ha fatto sport, parliamo di 37, 1 milioni di persone. Su questo dato e sulla misurazione potremmo aprire molte riflessioni, ma di sicuro il trend non è negativo.
- Sono 112.000 le associazioni e società sportive dilettantistiche iscritte al RASD (registro nazionale attività sportive dilettantistiche) di cui 5.700 svolgono anche attività inclusiva
- Un apposito indice che serve a valutare la dimensione di inclusione sociale di un’attività (indice SROI - per ogni euro investito si deve generare almeno un euro di valore sociale), ha confermato le grandi potenzialità del comparto sportivo come motore di inclusione sociale, con una valutazione di 4,5 euro. Questo significa che per 1€ investito nei progetti si ha un ritorno sociale sul territorio e sulla comunità di 4,5€.
Allora, perché continuare a investire così poco nello sport? Perché non decidere, finalmente, di finanziare davvero le società sportive di base togliendole da quella precarietà che le condiziona? Perché non mettere lo sport come priorità del Paese come investimento che genera comunità? Perché non obbligare i livelli professionistici dello sport, come il carrozzone del calcio, a genere mutualità destinando l’1% del suo fatturato alle realtà dello sport di base?
Sono domande alle quali è molto difficile rispondere e che generano anche un po’ di paura. La paura è che a fronte di uno sport che continua a crescere a tutti i livelli, nel CSI ma anche come fenomeno complessivo nel Paese, non cresca di pari passo la consapevolezza dell’importanza e del valore dello sport come tesoro da custodire per il bene dei ragazzi e delle ragazze, delle comunità, della società del nostro tempo. Il rischio è che lo sport conti solo a parole e non nelle politiche di fatto che lo dovrebbero sostenere.
Il problema è che il mondo sportivo ha abbassato la voce; non si sentono in giro battaglie costruttive per chiedere un alleggerimento della burocrazia, ad esempio, o ottenere sostegno concreto nel poter disporre di palestre e strutture, o ancora per chiedere una mano nel sostenere le spese mediche obbligatorie e così via. Forse è tempo di tornare a farsi sentire, forti del fatto che anche i dati confermano l’importanza centrale dello sport per il nostro Paese.