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Uno sguardo a questo mondiale tra sorprese, diritti e grandi assenti

5 dicembre 2022

Sorprese calcistiche, sino ad ora, ce ne sono state eccome. Dal Giappone qualificato alla Germania e Belgio spediti a casa nella prima fase, all’exploit del Marocco, solo per fare qualche esempio. Ma quello che ci interessa è dare un occhiata al mondiale oltre le apparenze e oltre l’attualità sportiva. Non diremo nulla di nuovo, ma prendere gli occhiali e guardarci dentro serve lo stesso.

Nel 2010, quando il Qatar ottiene l’aggiudicazione dei mondiali, di stadi decenti non vi era nemmeno l’ombra. Oggi si gioca in stadi super moderni con tanto di aria condizionata. Bravi, verrebbe da dire. Peccato che 6.500 persone che hanno lavorato nella costruzione degli stadi abbia perso la vita per farlo. Condizioni di lavoro pessime, zero tutele, pericoli altissimi.

Quanto è grande il Qatar? Più o meno metà della Lombardia. Quanto ha speso per la world cup? Circa 220 miliardi di dollari. Tanto per rendere l’idea: il Brasile nel 2014 spese più o meno 15 miliardi di dollari per i mondiali. Dietro ogni partita disputata a casa degli sceicchi c’è una sottile sfida culturale. Da un lato una possibile sport-suasion, cioè la possibilità di cambiare contesti complicati grazie alle potenzialità dello sport come fattore di cambiamento sociale, grazie anche all’attenzione mediatica che genera; dall’altro una sorta di “autocrat-suasion”, cioè l’abilità di regimi autocratici di mostrarsi “belli e bravi” utilizzando lo sport grazie ad una disponibilità economica praticamente illimitata, senza nei fatti cambiare una virgola in termini di diritti umani, uguaglianza, tutela della fragilità ecc.

Lasciamo a ciascuno di voi un attenta valutazione, ma la vera sfida del mondiale si gioca qui. Il primo mondiale della storia giocato in inverno vincerà o perderà a seconda di dove penderà la bilancia in questa sfida culturale. Il presidente della Fifa Infantino, svizzero che però ha casa a Doha, dove risiede la sua famiglia, nel suo discorso ufficiale di apertura ha picchiato duro affrenando di sentirsi: “arabo, africano, europeo, gay, disabile, emigrante”, salvo però pochi giorni dopo, prendere posizioni rigide su chi chiedeva di scendere in campo con una fascia per tutelare diritti.

Grande assente resta lo sport di base. In tutta la vicenda del mondiale, ancora una volta, non c’è nessun ragionamento e nessun gesto concreto verso il calcio “dei marmocchi”, il calcio di strada, delle piccole società sportive sparse in ogni angolo del pianeta, verso quel popolo mondiale di volontari che tiene davvero in piedi il sistema calcio. Saremo ingenui come bambini, e forse anche un po’ stupidi, ma ci sembrava innovativo, proprio in un mondiale così particolare e delicato, trovare il modo per ricordarsi di chi il calcio lo tiene in piedi davvero e fa giocare tonnellate di milioni di bambini in ogni angolo del pianeta. Niente, siamo inguaribili sognatori.

Ora tutta l’attenzione mediatica sarà per i quarti, le semifinali, le finali e il prossimo vincitore. Poi, in qualche stanza ai piani alti si faranno i conti per capire chi ha arricchito questa manifestazione (tra diritti televisivi e dintorni) e se ne è valsa la pena. Ma verrà un giorno nel quale i grandi eventi sportivi prenderanno davvero per mano lo sport di base, e sarà tutta un altra storia… Sarà forse lontano, ma quel giorno verrà!

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