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25 NOVEMBRE: L'EDITORIALE LO SCRIVONO LE DONNE DEL CSI MILANO

25 novembre 2023

Cosa può centrare un episodio di cronaca tremendo come l’uccisione di una giovane ragazza, con la vita quotidiana di un Comitato ente di promozione sportiva? In verità, come potrebbe la 107esima donna ammazzata in un anno non avere una connessione con le scelte di ognuno di noi, col fare i conti con la missione sportiva e educativa che promuoviamo?

Non possiamo pensare di cavarci fuori da una riflessione collettiva e comunitaria che ci vede coinvolti tutti, a partire da chi parla di educazione. C’è stato un tempo in cui lo sport era visto come strumento per crescere generazioni di uomini potenti, forti, valorosi, invincibili. Un culto dell’uomo tutto forza e muscoli “che non deve chiedere mai”. Non è questo lo sport che noi coltiviamo, non è quello l’uomo. Noi lavoriamo per uno sport che si impegna a crescere donne e uomini saldi in valori umanamente rilevanti. 

La pratica sportiva ha tanto da insegnare anche e soprattutto a quei “maschi” che lo sport di un tempo voleva invincibili.
A loro lo sport può, e per questo deve, insegnare che la sconfitta esiste e la si accetta senza gettare le medaglie d’argento o di bronzo a terra, senza reagire con violenza e frustrazione, senza incolpare gli altri per giustificare sé stessi. Lo sport ha strumenti per insegnare a bambini, ragazzi e giovani uomini, che si finisce in panchina a volte, che le scelte si rispettano dando il meglio di sé per meritarsi un posto, senza ossessioni però, senza prevaricazione o prepotenza. 

Lo sport può, e quindi deve, insegnare a questi atleti che le scorrettezze esistono e probabilmente si subiranno, ma vendicarsi ribalta la situazione e si finisce comunque a terra; qualcosa si perde lo stesso. Lo sport attraverso i suoi educatori, che sono allenatori e dirigenti adeguatamente formati, deve aiutare i bambini a crescere ed essere giovani e uomini consapevoli e sicuri delle proprie qualità, abbastanza da non temere che ogni traguardo gli venga tolto alla prima sconfitta, generando così fragilità e insicurezze che partoriscono reazioni impaurite, sconclusionate e impulsive.

Lo sport può, e quindi deve, insegnare agli uomini che non esiste il “per sempre”, che possono cambiare i piani di una società, le scelte di un allenatore, il rapporto con i compagni; deve insegnare che si cresce nel gruppo e a volte si cresce in modo diverso e non è colpa di nessuno. Lo si accetta, perché lo sport insegna anche che nulla è totalizzante­ e che oltre al tempo degli allenamenti e delle partite bisogna impegnarsi anche in altro, perché ciò che totalizza e ossessiona alla fine corrompe e rovina anche i sogni nel cassetto.

Al CSI Milano lavorano, tra dipendenti, stagiste e collaboratrici, circa 17 donne di età diverse e forse è una rarità all’interno di una realtà lavorativa sportiva della nostra grandezza. Ognuna di noi vive notizie di violenze e uccisioni di donne con sussulti diversi del cuore: «Da mamma di una bambina ancora piccola, sento di dover proteggere mia figlia e tutte le ragazzine che stanno crescendo in un mondo dove la violenza mentale e fisica è presente nella vita di tutti i giorni -scrive Lorena Terzaghi- Temo di spaventarle, non so cosa pensino davvero di ciò che accade, ma è giusto che sappiano che esistono anche uomini dai quali doversi difendere». 

Doversi difendere, la difesa… Altro termine proprio anche delle tattiche e degli schemi sportivi no? E come si difendono le donne nel mondo dello sport, pochi lo fanno. «Quante volte ci è stato detto che di sport non ci possiamo capire niente e che seguiamo le partite o le gare solo per commentare il fisico degli atleti? Quante volte sono arrivati commenti o battutine pieni di pregiudizi? Non basta voler svolgere bene il proprio lavoro, se sei una donna che si occupa di spor dovrai fare i conti con queste realtà -scrive Michela Rocco- Si sta gridando da giorni sui social, e non, ‘Not all Men’ e forse ora è tempo di dimostrarlo con i fatti e magari a partire proprio da uno degli ambienti più maschilisti di sempre, quello dello sport».

Ma se proprio l’avanzata (lenta) delle donne, nella società e nello sport, fosse una delle chiavi di lettura? Teresa Bernabè prova a rifletterci così: «La violenza sulle donne è in aumento forse proprio perché gli uomini hanno perso in pochi anni il controllo di un potere che detenevano da millenni. L’identità maschile sta attraversando un momento di grande fragilità, proprio mentre quella femminile si rafforza. Anche nello sport. Le calciatrici diventano icone, le pallavoliste possono usufruire di un fondo per la maternità… Questo a livello collettivo può far temere all’uomo di perdere spazi, e può innescare una brutalità incontrollata. Invece della paura di “perdere terreno”, potremmo insieme, uomini e donne, lavorare sul “guadagnare campo”, dividerci il campo, imparare a giocare insieme. Sarebbe bello se una volta in più pensassimo tutti soltanto a valere, invece di voler prevalere sempre. Alziamo le mani».

Giocare insieme, stare insieme... stare, esserci insieme nella condivisione di tempi e spazi. Lo sport insegna anche questo e forse resta il contesto in cui la condivisione del tempo tra giovani è ancora centrale oltre che a scuola e in oratorio. Ci riflette sopra Daniela Roverselli: «Sono una donna cresciuta negli anni ’80, quando le compagnie erano formate da ragazze e ragazzi che trascorrevano in oratorio, in palestra o al campo da calcio e in strada gran parte del loro tempo libero. Crescere insieme ci permetteva di imparare a capire il mondo dell’altro, quello più sensibile ma combattivo delle ragazze, e quello cameratesco e schietto dei maschi. L’amicizia aiutava davvero a superare tante frustrazioni e il confronto tra coetanei era lo strumento più prezioso per affrontare le difficoltà. Così sono cresciute persone forti e piantate per terra. C’è bisogno di ritrovare i rapporti veri. Da soli, connessi a centinaia di persone ma senza nessuno accanto, non è facile sopportare il peso di una società che chiede sempre di più».

Le mani alzate in segno di rifiuto di ogni violenza contro le donne, sono il gesto che il comitato di Milano del CSI ha scelto per le giornate del 25 e 26 novembre, e il valore di questo gesto silenzioso ma fortemente simbolico nel suo abbandono di ogni aggressività, lo sottolinea Elisa Bortolato: «Siamo in tante ed è giusto farci vedere e farci sentire. A volte il silenzio ci permette di riflettere, di staccarci da tutto il rumore assordante che ci circonda, di sognare e di regalare momenti intimi e personali a noi stesse... Ma non oggi! Oggi alziamo le mani e ci facciamo vedere, perché tutto questo non può e non deve passare inosservato».

Niente minuti di silenzio allora, solo una manciata di secondi a mani alzate per urlare su ogni campo lo sdegno per una società in cui deve esistere una giornata per ricordarsi di non ammazzare una donna solo perché mostra indipendenza o perché la si considera alla stregua di un bene da acquistare e non cuore da amare. «Tiriamo fuori la stessa voce che usiamo con grinta e gioia, quando scendiamo in campo per giocare una partita, quando vinciamo una gara, quando ci supportiamo l’un l’altra nello sport come nella vita -spiega Simona Angella- Va eliminata la paura introiettata che porta a subire qualsiasi tipo di violenza, impariamo a dire NO e a scappare quando ci sentiamo in trappola. Facciamo sentire la nostra voce a coloro che dovrebbero essere deputati a difenderci, perché se la rete di protezione non funziona, le grida di aiuto rimarranno per sempre MUTE».

Il no al minuto di silenzio è anche per rispetto a quelle violenze silenziose che si perpetuano contro le donne quotidianamente non solo in Italia, pensiamo alle donne iraniane ad esempio. «Viaggiando con CSI per il Mondo ho avuto modo di toccare con mano quanto, ancora oggi, la donna sia messa da parte e considerata chiaramente di serie B in troppi Paesi e angoli del pianeta -ha scritto Valentina Piazza- Donne che non possono sedere a tavola con gli uomini, che non hanno diritti, che non possono fare sport o lo praticano di nascosto rischiando la vita. Questa ferita dolorosa di oggi e di sempre deve essere rimarginata, chiusa e mai più aperta… Bisogna avere il coraggio di lottare e di sognare anche».

Noi sogniamo un futuro in cui non debbano esistere giornate per ricordare il valore di una donna o piangerne le uccisioni e le violenze subite. A dire il vero però, non ci limitiamo a sognarlo ma lavoriamo per “far storia i sogni”.

 

Le dipendenti, collaboratrici e stagiste del CSI Milano 

Angella Simona
Bernabè Teresa
Bortolato Elisa
Brignoli Ilaria
Comi Marta
Di Silvestro Chiara
Gattullo Francesca
Magni Giorgia
Moretti Carolina
Pastori Myriam
Piazza Valentina
Rocco Michela
Roverselli Daniela
Sanvito Laura
Teormino Lucia
Terzaghi Lorena

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